domenica 30 ottobre 2011

L'etica fotografica (nei portali di fotografia)

Essendo questo il mio primo intervento è doveroso ringraziare, per l’ospitalità e l'opportunità concessami, Giancarlo Parisi.
IMAGO VERITATIS è già un bel sito di fotografia; “imagorà”, che si prefigge l’ambizioso scopo di discutere e divulgare la cultura fotografica, ne sembra la costola naturale.
Uno degli ultimi argomenti trattati in IMAGO riguardava i portali fotografici. Poiché anche io (come tutti, penso) ne frequento alcuni, in questo primo contributo vorrei affrontare un argomento cui fa cenno l’editoriale che annuncia la nuova realtà di “imagorà”: quello dell’etica fotografica.
La tematica è tanto ampia quanto delicata, per cui qualunque discussione non può che essere parziale nelle conclusioni, se mai sia possibile trarne. Limito pertanto l’ambito del mio discorso ad un ambito che in genere trova molto spazio nei portali di fotografia: quello della cosiddetta fotografia sociale. In tali portali fotografie di barboni e mendicanti, ovvero di poveri cristi, ritratti nei quattro angoli del mondo, spesso realizzate con ampio ricorso a teleobiettivi, sono in molti casi, con faciloneria, spacciate come “reportage”. Accade, a volte, che su qualcuna di siffatte fotografie si apra una discussione (che in genere non porta da nessuna parte, per l’intrecciarsi di polemiche se non di veri e propri litigi).
Le note che seguono sono tratte, appunto, dal forum di un noto portale fotografico. Mi scuso se, pur avendone rivisto il testo, sono comunque rimasti riferimenti a cose e fatti non note a tutti.
È molto difficile affrontare la questione dell’etica fotografica senza che il personale “vissuto” e le personali convinzioni non finiscano per condizionare un giudizio che si vorrebbe sereno.
Ciò non di meno questo aspetto nella fotografia è fondamentale, in quanto più di altri può condizionarne le scelte fotografiche. La fotografia finisce sempre col riflettere (più o meno consapevolmente) quello che “siamo”, quello che “siamo stati” e probabilmente quello che "diventeremo".
Quanto diciamo a proposito dell’etica fotografica non può pertanto avere alcuna pretesa di “verità assoluta” (se così fosse, vorrebbe dire che il nostro pensiero si è "fermato"). Ciò nondimeno è del tutto naturale (anzi logico) esprimere (anche con forza) posizioni radicali (se non di censura) su argomenti come questo. L’importante è appunto che tali posizioni contemplino sempre il rispetto per quelle diverse, al limite divergenti (solo gli stolti non cambiano mai idea... non avendone di proprie non possono proprio).
Ecco, io ho delle ferme convinzioni personali, ma anche altrettanti dubbi. Non escludo affatto che la discussione e il ragionamento, su queste tematiche, possano portarmi a riconsiderarle/rivederle/arricchirle/modificarle.
Personalmente, pur non avendo mai avuto alcuna reticenza nel fotografare anche in luoghi estremamente degradati, non riprendo tutti quei soggetti che la società ha emarginato o reso più deboli. E’ una mia scelta ben precisa, cui finora non ho mai derogato. Escludendo l’aspetto professionale (non mi guadagno da vivere con la fotografia), potrei cambiare atteggiamento solo per una forte motivazione personale legata a una pressante esigenza di analisi e/o documentazione. Forse. (Al riguardo consiglio, con convinzione, la lettura di alcuni testi di Ando Gilardi).
E qui, se posso permettermi, forse siamo arrivati al punto: il reportage non può prescindere dal coinvolgimento (anche emotivo) del fotografo. Se i suoi scopi sono nobili - nel senso che sono partecipabili ai soggetti interessati e da questi condivisi - potrà fotografare chiunque e la qualunque cosa. Purtroppo ciò accade di rado e, a mio parere, nel dubbio è meglio abbassare l’obiettivo. 

Un’ultima riflessione: nella società massificata in cui viviamo, che come un tritacarne metabolizza tutto e il contrario di tutto (il bello come il brutto, il valore come il ciarpame, a prescindere dal contenuto e dal contesto) vuoi vedere che è proprio l'immagine “banale” (cioè istintiva) quella che, proprio perché priva di alcun tipo di pretesa professionale/artistica, quella che riesce a raggiungere l'obiettivo di scuotere le coscienze più di tanti reportage zeppi delle “migliori” fotografie?

1 commento:

Giancarlo Parisi ha detto...

Carissimo amico benvenuto su Imago Veritatis. Sono contento che tu abbia accettato l'invito alla collaborazione editoriale con questo spazio e i tuoi contributi saranno preziosi per l'accrescimento e il miglioramento dei suoi contenuti.

L'argomento che hai scelto è delicato e scottante, non posso che quotare integralmente quanto hai detto. L'unica riflessione che, allo stato, mi viene da fare è la seguente.
L'atto di fotografare rimane sempre abbastanza istintivo, in quanto esso soddisfa, prima di ogni altra cosa, il proprio bisogno visivo. In tal senso è anche possibile e, ritengo, ammissibile che ci si trovi a fotografare le situazioni che descrivi. Ecco, fintanto che tale atto non scade nel voyeurismo di bassa lega e rimane confinato nei propri archivi, forse è possibile ritagliargli uno spazio di sopravvivenza al di fuori del reportage concerned. Diversamente non posso che sposare totalmente il tuo pensiero.

Mi riservo di aggiungere dell'altro, con più calma. Per il momento ti saluto e ti rinnovo il benvenuto.